Ci troviamo di fronte a una storia molto forte e a un film potente. Walter esce di prigione dopo 12 anni a seguito della condanna per molestie nei confronti di minori. La sua “nuova vita” però non sarà mai libera perché il protagonista è sotto il regime della parole, ovvero sotto controllo costante dell’agenzia carceraria che dovrà vagliare il suo percorso anche fuori dalla prigione. E sarà appunto il contesto “esterno” che ricorderà a Walter in ogni momento della sua nuova esistenza chi è e di cosa si è macchiato; dalla diffidenza dei colleghi nella segheria dove lavora dopo aver scoperto il motivo della sua carcerazione, alla zona nel suo quartiere con i divieti di avvicinarsi alla scuola nei paraggi, fino al supervisore che lo controlla e non nasconde il pregiudizio e il disprezzo nei suoi confronti. Nel film seguiamo il punto di vista del protagonista e della sua lotta per la redenzione, il cercare di reprimere le sue pulsioni, il voler rispettare le regole e la ricerca disperata di una vita normale che forse come la intendiamo noi non lo sarà mai. Solo una collega (Vicky), anche lei con la sua buona dose di segreti inconfessabili e di peccati da espiare, saprà aiutarlo a (r)iniziare davvero, a trovare conforto e a vivere una relazione appagante pur nelle enormi difficoltà. Inoltre, il lungometraggio narra anche il percorso psichiatrico e gli sforzi costanti di chi soffre di questa condizione per cercare di reprimere le proprie inclinazioni devianti. L’approccio interessante legato a questa tematica è che per Walter sarà la presa di coscienza del dolore che tali comportamenti possono arrecare, vedere la sofferenza che causano, l’unica via per diventare consapevoli degli sbagli compiuti e per costringersi a non ripeterli. Il film della regista Nicole Kassell è diretto da una mano sicura e distaccata che aiuta lo spettatore a immergersi con delicatezza in una storia incredibilmente umana.