Per rispondere a questa domanda è necessario fare chiarezza su alcuni termini. Spesso infatti si parla di pedofilia o disturbo pedofilico e abusi sessuali su minore come se fossero sinonimi. In realtà la pedofilia è un disturbo psichiatrico caratterizzato da un’attrazione sessuale da parte di un adulto verso bambini prepuberi (di solito al di sotto di 13 anni) che può essere agita oppure no. Quando si parla di abusi sessuali su minore, invece si fa riferimento a comportamenti sessuali, che costituiscono reato, da parte di adulti verso minori di anni 18, che spesso si realizzano in funzione di alcune patologie psichiatriche (tra le quali la pedofilia), abuso di sostanze, condizioni di stress o particolari situazioni contestuali. Pertanto non tutti i pedofili sono abusatori e non tutti gli abusatori sono pedofili. Si calcola che circa un terzo degli abusi possa essere ricondotto ad una diagnosi di disturbo pedofilico. Questa confusione di termini, insieme alla grande resistenza da parte delle vittime a riferire l’abuso (secondo i dati raccolti dall’organizzazione no-profit THORN nel 2017, 1 vittima su 3 non ne parlerà mai con nessuno) e ad essere credute (spesso gli studi fanno riferimento a campioni di popolazione costituiti da soggetti riferibili a procedimenti penali che non rappresentano correttamente la popolazione generale), ai problemi metodologici che mettono insieme dati riferiti a vittime e abusatori, ha generato notevoli difficoltà nel determinare le caratteristiche e la prevalenza del fenomeno, sottostimandola di fatto.
Gli abusi a livello mondiale e nella Chiesa, alla luce dei dati recenti
A livello globale secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017, si parla comunque di una prevalenza rilevantissima, pari al 18% delle bambine e 8% dei bambini. I dati fanno riferimento ad alcune metanalisi, come quella del gruppo svizzero del 2013 che riferisce una prevalenza pari al 9% delle bambine e 3% dei bambini che hanno subito una violenza sessuale, e 8-31% delle bambine e 3-17% dei bambini che hanno fatto esperienza di una qualche forma di abuso sessuale. Il disturbo pedofilico, in accordo con l’American Psychiatric Association invece presenta una prevalenza del 3-5% nella popolazione generale e interessa prevalentemente il genere maschile. In realtà è in aumento anche il dato relativo a donne responsabili di abusi sessuali su minore mentre non ci sono dati riguardanti la pedofilia. Per quanto concerne le vittime sono certamente le bambine le più interessate, e la presenza di una disabilità aumenta moltissimo il rischio di essere abusati. Anche il basso rendimento scolastico, l’assenza della figura materna e il disagio intrafamiliare, la bassa autostima, l’abuso di sostanze e la tendenza all’isolamento sociale rappresentano fattori di rischio rispetto alla possibilità di subire un abuso.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della chiesa in abusi sessuali su minori i dati si riferiscono ad alcune indagini realizzate a partire dal 2004. I rapporti del John Jay study, della Royal Commission australiana e della conferenza episcopale tedesca, seppur presentando problemi metodologici, riportano una prevalenza di chierici responsabili di abusi sessuali su minore che va dal 4 al 7 % del clero attivo. Se guardiamo ai dati messi a disposizione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2016 e 2017 vediamo come i casi riguardanti abusi trattati sono stati circa 400 per anno, mentre in una recente intervista il capoufficio della sezione disciplinare ha riferito di circa 1000 casi per l’anno 2019. Una review ben condotta, riguardante la letteratura scientifica sul tema degli abusi nella Chiesa pubblicata nel 2014, di Bohm et al., evidenzia come esistano 170 studi specifici (relativi a 4000 casi di abuso in circa 50 anni) per il contesto ecclesiale cattolico, ma solo 6 di questi siano studi di ricerca accessibili specifici per abusatori clericali.
La situazione in Italia
Per quanto riguarda l’Italia i dati più rilevanti fanno riferimento ad uno studio del 2015 condotto su 4 campioni diversi che riportano una prevalenza generale degli abusi su minore pari al 12,5-34,1%, con una grande variabilità tra i campioni osservati, anche per quanto riguarda il genere delle vittime e all’indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia condotta da Terre de Hommes e CISMAI nel 2015 che riferisce una prevalenza di abuso sessuale pari al 4,2%. Infine il dossier Abuso Sessuale e Pedofilia 2019 di telefono Azzurro evidenzia come circa il 15% degli abusi sia perpetrato da estranei mentre circa il 60% da familiari, mentre le vittime sono per il 66% femmine e 34% maschi, con il 68% con un’età inferiore ai 14 anni. Anche i dati riferiti alla pedopornografia così come all’abuso sessuale online sono rilevanti e in linea con i dati internazionali che riportano, secondo la Internet Watch Foundation più di 130000 tra immagini e video raffiguranti abusi sessuali su minore su internet nel 2019. Secondo una metanalisi del 2018 si evidenzia come circa 1 ragazzo su 5 viene esposto a materiale sessuale esplicito indesiderato online, 1 su 9 viene sollecitato sessualmente onlinee 1 su 25 riceve una richiesta di incontro nella vita reale dopo un primo contatto online.Certamente i risultati dell’atteso progetto di ricerca dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza insieme a Cismai e Terre des Hommes, per una rilevazione campionaria effettuata in 231 comuni italiani, che verrà pubblicata nel 2020 e l’attivazione dei servizi regionali e diocesani per la tutela dei minori con centri di ascolto che dovranno favorire l’ascolto delle vittime, potranno dare un grande contributo ai fini dell’identificazione della reale dimensione del fenomeno in Italia.
Fattori di rischio per l’insorgenza del comportamento abusante
Sulla base dei dati riportati negli studi prima citati possiamo evidenziare alcune caratteristiche: l’età media dell’abusatore al momento del primo abuso è di circa 20-30 anni, mentre in ambito ecclesiale è di circa 40 anni (più tardi che nella popolazione generale, e certemente più tardi che nelle persone affette da pedofilia). D’altra parte questi dati suggeriscono come la maggior parte degli abusi possano non essere sostenuti da un disturbo pedofilico quanto da altre condizioni e fattori contestuali. Anche il luogo principale di abuso è nella maggior parte dei casi l’abitazione della vittima e per l’ambito ecclesiale la canonica o i locali della parrocchia, ma anche gli spogliatoi di ambienti sportivi evidenziando la necessità di una definizione di buone prassi e codici di comportamento a tutela dei minori in questi contesti e di interventi a sostegno della responsabilità genitoriale e dei contesti sociali. Anche l’ambito digitale e in particolare i social media stanno assumendo un ruolo fondamentale come “luoghi” nei quali l’abuso (l’adescamento) inizia a profilarsi. Le dinamiche dell’abuso tipiche dell’adescamento prevedono come momento di avvicinamento privilegiato quello legato al momento del gioco, e e si manifestano nelle occasioni caratterizzate da un rapporto 1 a 1. La letteratura internazionale converge nel ritenere che i principali fattori che influenzano l’insorgere del comportamento abusante nell’abusatore sono i fattori di stress, l’isolamento sociale, l’abuso di sostanze (alcol, farmaci, droghe), la mancanza di competenza sociale (ad es. nella gestione dei rapporti interpersonali con i coetanei), lo scarso grado di maturità, i disturbi psichici e di personalità, gli importanti cambiamenti o situazioni di grave difficoltà familiare, le ridotte abilità cognitive, una storia di abuso pregressa, stile di funzionamento familiare promiscuo, ambienti degradati che rafforzano condotte e valori violenti e di coercizione sessuale, tutti fattori di rischio di abuso, da monitorare con attenzione.
Allo stato attuale non esistono dati scientifici significativi che correlino in alcun modo l’omosessualità agli abusi sessuali su minore. Questa presunta associazione riportata in alcuni testi nasce in conseguenza dello scorretto utilizzo in alcune pubblicazioni, negli anni ’80 del termine pedofilia omosessuale per descrivere quelli che oggi vengono opportunamente definiti come adulti di sesso maschile affetti da disturbo pedofilico attratti sessualmente da maschi e che spesso non hanno sviluppato una definita maturità sessuale e non sono interessati a relazioni con adulti (tipo esclusivo). Secondo lo studio della conferenza episcopale tedesca, la più alta prevalenza di vittime maschile da parte dei chierici (62%) non è riconducibile ad un orientamento omosessuale ma a fattori contestuali quali la maggiore possibilità di contatto e maggiore accessibilità dei religiosi con bambini e ragazzi di sesso maschile e ad altri fattori.
Fattori di protezione nella formazione degli operatori in ambito ecclesiale
La conoscenza di questi fattori di rischio noti come red flag non permette di fare però una diagnosi preventiva, ovvero il loro valore predittivo non è sufficiente per identificare eventuali abusatori. Anche dal punto di vista psicometrico non esistono allo stato attuale test validati che individuino con una certa accuratezza il possibile abusatore o pedofilo (alcuni test disponibili non sono nemmeno applicabili), e la diagnosi diventa possibile solo dopo che il comportamento abusante si è ormai manifestato. Pertanto assume importanza nella valutazione e nella selezione degli operatori che andranno a rivestire ruoli educativi o di contatto con i minori, investire su una formazione umana. In altri termini è importante prevedere un programma di valutazione iniziale da parte di esperti che preveda sì l’applicazione di strumenti psicometrici e una attenta raccolta anamnestica con particolare attenzione alla storia psicosessuale e affettiva dell’operatore, ma anche un percorso di approfondimento e contatto con la propria e altrui sessualità, espressione della capacità relazionale dell’individuo, e dunque anche delle sue problematiche relazionali. Diventa fondamentale favorire l’apertura e la comunicazione riguardo all’ambito della sessualità, per troppo tempo ritenuto argomento tabù in ambito formativo cattolico. Fondamentale ripetere nel tempo questa valutazione e adottare sistemi di buone pratiche, codici etici e comportamentali condivisi continuamente con gli operatori. Si deve così dare molta attenzione agli aspetti più concreti e pratici, come quelli della identificazione dei luoghi e occasioni di abuso, in modo da prevenire ogni abuso e garantire un’atmosfera di sicurezza personale e ambientale, ben ricordando anche che un ambiente protetto è e diventa sempre più un ambiente che protegge, e non solo per i minori, ma anche per gli stessi educatori e operatori pastorali. Nella formazione diventa quindi centrale lavorare sulla consapevolezza che gli abusi non sono mai “solo” sessuali, ma nascono di solito nell’area dell’identità della persona, come tentativo di compensare una stima di sé precaria, o come espressione di una patologia e dunque come uso strumentale e davvero improprio del proprio ruolo e della posizione sociale, del proprio ascendente sulla coscienza e sensibilità dell’altro, specie quando minore o vulnerabile.
Ecco in sintesi un possibile profilo dell’autore di abusi su minore:
• prevalentemente maschio
• nella maggior parte dei casi non è un classico predatore, ma una persona “normale“ (spesso coniugato con figli, proveniente da tutti gli ambiti professionali, sociali, culturali, religiosi, sportivi … persone anche riconosciute per il loro impegno sociale, politico, pastorale, nel tempo libero e nella cultura, educatori, insegnanti, allenatori … di tutte le fasce di età (20-30 anni picco di esordio)
• nel 90% dei casi l’abusatore conosce bene la vittima (e riveste un ruolo di fiducia e responsabilità verso il minore) e nel 60% dei casi appartiene al contesto intrafamiliare
• le relazioni dell’abusatore tendono ad essere selettive, l’abusatore sceglie a sua discrezione le persone da attenzionare, e le lega a sé attraverso una dinamica di adescamento graduale
• fa raramente ricorso all’uso della forza o di armi per coinvolgere bambini/adolescenti in atti sessuali, ma ricorrono piuttosto a forme più sottili di adescamento
• anche i minori abusano (abuso tra i giovani). Le ricerche internazionali indicano che il 90% circa dei perpetratori minorenni è costituito da individui di sesso maschile e che questo specifico reato è trasversale a tutte le classi socioeconomiche e a tutti i gruppi etnici
• sovente l’abusatore non riesce a sviluppare relazioni adulte e mature con i coetanei e presenta situazioni familiari conflittuali o disfunzionali
• spesso l’abusatore non ha chiarezza circa l‘orientamento sessuale e dimostra tratti di infantilismo e interessi tipici dell’età infantile
• in alcuni casi l’abusatore riferisce esperienze sessuali estreme nell‘infanzia (spesso sono stati abusati a loro volta), attenzione però che non tutti coloro che ricevono abusi in epoca infantile si trasformano a loro volta in abusanti
• l’attrazione sessuale verso i bambini inizia a manifestarsi nel corso dell’adolescenza e della prima età adulta
• nel 30% dei casi presenta una diagnosi di pedofilia
• nel 50-60% dei casi, alla diagnosi di disturbo pedofilico si affianca quella di abuso di sostanze
• nel 50-70% dei casi, alla diagnosi di disturbo pedofilico si accompagna quella di un’altra parafilia, intesa come disturbo della sfera sessuale (es. esibizionismo, voyeurismo, sadismo) o altri disturbi psichiatrici, in particolare disturbo di personalità antisociale, disturbo di personalità narcisistico, disturbo dell’umore, schizofrenia
• in generale, l’abusatore non presenta marcati deficit cognitivi ma mostrano buone capacità di pianificazione dei propri comportamenti; esistono però casi legati a disturbi del neurosviluppo soprattutto con funzionamento cognitivo borderline
• spesso fa uso di materiale pornografico online, con modalità compulsive, in particolare l’accesso a materiale pedopornografico rappresenta un fattore predittivo per pedofilia
• molesta principalmente vittime conosciute e tende a giustificare e/o minimizzare il proprio comportamento, mancando di empatia e compassione
• l’aver già abusato di un minore rappresenta un fattore di rischio per la ripetizione del comportamento (l’efficacia dei trattamenti e i tassi di recidiva sono ancora molto discussi)